giovedì 29 novembre 2012

IL SEGRETO DELLA SOFFERENZA

Santa Rosa da Lima ascoltò queste parole da Cristo stesso:

"Tutti sappiano che la grazia segue alla tribolazione, 
intendano che senza il peso della afflizioni 
non si giunge al vertice della grazia, 
comprendano che quanto cresce l’intensità dei dolori, 
tanto aumenta la misura dei carismi. 
Nessuno erri né si inganni; 
questa é l’unica vera scala del paradiso, 
e al di fuori della croce non c’é altra via per cui salire al cielo".




Ella stessa perciò portava questa testimonianza:

"Da parte di Cristo e con parole della sua stessa bocca 
vi avverto che non si riceve grazia senza soffrire afflizioni
E’ necessario che dolori si aggiungano a dolori 
per conseguire l’intima partecipazione alla natura divina, 
la gloria dei figli di Dio e la perfetta bellezza dell’anima...

Oh se i mortali conoscessero che gran cosa é la grazia, 
quanto é bella, quanto nobile e preziosa, 
quante ricchezze nasconde in sé, quanti tesori, 
quanta felicità e delizie! 
Senza dubbio andrebbero essi stessi alla ricerca di fastidi e pene; 
andrebbero questuando molestie, infermità e tormenti 
invece che fortune, e ciò per conseguire l’inestimabile tesoro della grazia. 
Questo é l’acquisto e l’ultimo guadagno della sofferenza ben accettata. 
Nessuno si lamenterebbe della croce e dei dolori, 
che gli toccano in sorte, se conoscesse con quali bilance 
vengono pesati nella distribuzione fra gli uomini".


 
 











Scriveva San Paolo ai Romani:

"E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura,
ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi,
per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».
Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio.  
E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo,
se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze 
per partecipare anche alla sua gloria.

Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente 
non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi". 


Romani 8, 15-18


E ai Colossesi:

"Perciò sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi 
e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo,
a favore del suo corpo che è la Chiesa".  

Colossesi 1, 24 

















E leggiamo San Pietro:


"Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati,
mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti,
per una speranza viva, per un'eredità che non si corrompe,
non si macchia e non marcisce.

Perciò siete ricolmi di gioia, anche se ora dovete essere, 
per un po' di tempo, afflitti da varie prove, affinché la vostra fede, 
messa alla prova, molto più preziosa dell'oro 
- destinato a perire e tuttavia purificato con fuoco - 
torni a vostra lode, gloria e onore quando Gesù Cristo si manifesterà.

Voi lo amate, pur senza averlo visto e ora, senza vederlo, credete in lui.
Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa,
mentre raggiungete la mèta della vostra fede: la salvezza delle anime".















Alla sofferenza è legata la conoscenza, l'intimità con Dio,
l'esperienza della grazia e della verità profonda nel presente,
della gloria eterna nella vita futura.

Il dolore, se vissuto nella giusta luce, 
ci porta a capire l'essenzialità delle cose più importanti nella vita
e a fare scelte con cognizione di causa.

Esso ci purifica, toglie le scorie che ci avvolgono
e impiastrano il nostro cuore, ci da un cuore di carne,
fa della spelonca di ladri che spesso finiamo per diventare
una casa di preghiera e un tempio dello Spirito Santo.

La sofferenza è legata inoltre al mistero della nostra redenzione
per cui possiamo partecipare misteriosamente 
ai patimenti di Cristo per la salvezza dei fratelli,
in particolare per chi è ingannato e schiavo del peccato
o non conosce Dio.

Disse Maria ai tre pastorelli di Fatima:

"Siete disposti ad offrirvi a Dio 
e sopportare tutte le sofferenze che vi manderò 
come atto di riparazione per la conversione dei peccatori?". 

"Sì, siamo disposti", risponde Lucia. 
"Allora soffrirete molto, ma la grazia di Dio vi sarà di conforto"

Sulla fine del mondo

Domenica 18 novembre, il papa Benedetto XVI ha commentato il vangelo di Marco sugli ultimi tempi, un tema molto attuale, vista la profezia dei Maya di prossima scadenza.

 


"«Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria» (v. 26). Il «Figlio dell’uomo» è Gesù stesso, che collega il presente e il futuro; le antiche parole dei profeti hanno trovato finalmente un centro nella persona del Messia nazareno: è Lui il vero avvenimento che, in mezzo agli sconvolgimenti del mondo, rimane il punto fermo e stabile...

Per questo Gesù non descrive la fine del mondo, e quando usa immagini apocalittiche, non si comporta come un «veggente». Al contrario, Egli vuole sottrarre i suoi discepoli di ogni epoca alla curiosità per le date, le previsioni, e vuole invece dare loro una chiave di lettura profonda, essenziale, e soprattutto indicare la via giusta su cui camminare, oggi e domani, per entrare nella vita eterna. Tutto passa – ci ricorda il Signore –, ma la Parola di Dio non muta, e di fronte ad essa ciascuno di noi è responsabile del proprio comportamento. In base a questo saremo giudicati.

Cari amici, anche nei nostri tempi non mancano calamità naturali, e purtroppo nemmeno guerre e violenze. Anche oggi abbiamo bisogno di un fondamento stabile per la nostra vita e la nostra speranza, tanto più a causa del relativismo in cui siamo immersi. La Vergine Maria ci aiuti ad accogliere questo centro nella Persona di Cristo e nella sua Parola."

Vediamo questo interessante commento di Cantalamessa:

 

 

 P. Cantalamessa: la “fine del mondo” non è paura di false profezie, ma speranza in Cristo


La conclusione della storia e il glorioso ritorno di Cristo sulla terra: il Vangelo letto ieri nelle Chiese di ogni Paese – oggetto di riflessione da parte del Papa all’Angelus – tocca uno dei punti più sensibili per l’uomo di ogni epoca: quello della fine della vita e del mondo.

Un concetto che evoca paure antiche, oggi spesso alimentate da condizionamenti mediatici, che però nulla hanno a che fare con la visione cristiana improntata alla speranza, ribadita ieri da Benedetto XVI.
Alessandro De Carolis ne ha parlato con il predicatore della Casa Pontificia,  padre Raniero Cantalamessa:

R. – A me pare che il Papa abbia proprio centrato il problema – come fa sempre, del resto. Gesù non vuole rispondere a “quando” avverranno queste cose, ma al “come” bisogna prepararsi. Come dice il Papa, non vuole fomentare la curiosità sulle date, le scadenze… E’ curioso che Gesù dica che nel momento preciso in cui ciò avverrà, chiamiamola “fine del mondo”, neppure gli angeli del cielo lo sapranno, e che invece periodicamente sorgano profeti o veggenti che annunciano – quando non addirittura con una data precisa – la fine del mondo. Adesso stiamo andando verso il 21 dicembre 2012, che secondo alcuni sarebbe la data della fine del mondo perché nei calendari Maya ciò indicherebbe il termine di un ciclo. Come giustamente afferma il Papa, Gesù vuole dare un fondamento alla nostra esistenza e, a questo proposito, il Vangelo di ieri è veramente splendido. Ci dice che, a differenza della visione ateo-scientistica, secondo cui il mondo non ha un Creatore, non ha un senso, non ha uno scopo e quando saranno esauriti i processi chimici e fisici in atto finirà o nel gelo eterno o in fuoco cosmico, il messaggio fondamentale contenuto in questi discorsi escatologici è invece di un’estrema speranza. Ci dice che noi stiamo andando verso “Uno” che ci viene incontro, che viene ogni giorno a noi nell’Eucaristia. Quindi, come temere “Uno” che è già nostro compagno di viaggio?




D. – Di fronte alla parola “apocalisse”, molto spesso si fa confusione, soprattutto perché il termine è diventato, nel tempo, sinonimo di “catastrofe”. Qual è il suo vero significato?

R. – Apokálypsis in greco significa semplicemente “rivelazione”, e voleva essere nel titolo del libro di Giovanni, la rivelazione non di date precise, di scadenze storiche come spesso è stato fatto, ma un linguaggio profetico che mettesse in luce i principi fondamentali che sarebbero stati alla base dello sviluppo della storia: le forze del male che lotteranno sempre contro le forze del bene, ma alla fine il trionfo sarà dell’Agnello. Questo è il senso fondamentale dell’Apocalisse. Ma a causa del linguaggio che parla di stelle che cadono, di fuoco che scende sulla terra, si è finito – come in molti film – con il fare della parola apocalisse sempre delle storie di calamità, al di sopra dell’immaginazione umana.

D. – Lei prima ha citato la presunta profezia dei Maya sulla fine del mondo. I millenarismi hanno sempre attraversato la storia umana. Perché – secondo lei – l’uomo ha questo periodico bisogno di evocare la fine del mondo?

R. – Quando noi oggi parliamo della fine del mondo, ne parliamo in termini globali, cioè la fine assoluta dopo la quale c’è solo l’eternità. Gli antichi, soprattutto nella Bibbia, parlavano con termini relativi e quindi spesso, nella Bibbia, non si parla di fine del mondo, ma della fine di un mondo. Infatti, Gesù proprio nel Vangelo diceva: “Non passerà questa generazione prima che tutto ciò avvenga”: di fatto, non passò la generazione senza che un mondo finisse, quello ebraico-giudaico, con la distruzione di Gerusalemme. Nel 410, dopo il “Sacco di Roma”, alcuni Padri della Chiesa pensarono che fosse arrivata la fine del mondo, perché identificavano il mondo con l’assetto dell’Impero romano che credevano definitivo. Nel Vangelo, spesso si intrecciano questi due piani: il piano della fine di un mondo con la fine del mondo. Credo che Gesù volesse fare del primo un simbolo, un richiamo, dell’ultimo: cioè, prendere queste catastrofi, questi avvenimenti più grandi di noi, come un invito a non attaccarci a questa terra, così come mi pare sottolineasse anche il Papa ieri.

D. – Al di là della fine dei tempi, c’è comunque una fine alla quale ogni essere umano è chiamato a un certo punto della sua vita, che per un cristiano è l’inizio dell’altra vita. Come si può radicare questo pensiero nella nostra epoca, che è così allergica a tutto ciò che non riguarda il presente?

R. – E’ stolto affannarsi a voler scrutare quando sarà la fine del mondo, quando per ciascuno di noi la fine del mondo può essere stasera, o domani, perché la morte per ciascun individuo è la fine di questo mondo. Quindi, c’è un richiamo fortissimo che, purtroppo, lo sappiamo bene, non ci entra facilmente nelle orecchie, a noi uomini, ed è il richiamo che Gesù fa quando dice: “Vigilate”. Se avessimo davanti un’ora precisa, alla quale ognuno di noi sapesse di dover morire, inizierebbe un conteggio alla rovescia che sarebbe il parossismo dell’angoscia. Quindi, ha fatto bene Dio a tener nascosta sia l’ora della nostra fine, sia quella della fine del mondo.

Fonte: "Cerco il tuo volto.it" (da Radio Vaticana)

martedì 27 novembre 2012

Il vero digiuno



dal web

Ansie, preoccupazioni, paure...



"Ogni persona sviluppa solo una minima parte del proprio potenziale interiore.
L'io, il centro della personalità, paga per le proprie difese, per le proprie sicurezze
(che spesso sono dettate dalla paura, e la paura è cattiva consigliera)
un prezzo enorme in termini di piacere, gioia, felicità:
la rinuncia a molte possibilità presenti nell'universo.

Ma quando la personalità ha raggiunto un'adeguata forza e maturità
non si accontenta dei limiti che si è imposta 
o che gli altri e l'ambiente hanno imposto...

Nessuno è condannato a dire e fare sempre le stesse cose:
gli ossessivi fanno così, la ripetizione dà loro una pseudosicurezza,
la libertà li angoscia, perché non tutto è sotto controllo...

Questo non avviene a chi ama,
i suoi confini tendono ad ampliarsi automaticamente,
perché sente un'energia che lo spinge in avanti;
chi ama si sente uno col partner e con tutto il mondo,
non c'è nulla da difendere, è tutto da incrementare, da espandere.

La persona amata è la porta attraverso cui poter fare entrare
nel mondo interno il cosmo, tutte le meraviglie dell'universo
escluse dall'io per paura".

G. BASSI R. ZAMBURLIN
"La comunicazione nel rapporto di coppia" , San Paolo 2008





"Dio non è nella rigidità,
Dio non è nel trattenersi,
Dio non è nel chiudersi.
E' nello sbilanciarsi, che è
lo sbilanciarsi dell'amore.
"

ANGELO CASATI

La paura di morire, e quella di vivere.
La paura di ciò che è precario e insicuro.
La paura della nostra fragilità, e di quella degli altri.

Don Angelo Casati, prete-poeta milanese, tocca uno ad uno
tutti i tasti di quell'affanno che ci fa troppo spesso restare immobili,
mentre la vita scorre.

Perché vogliamo avere controllo su tutto?
Perché non accettiamo la nostra provvisorietà?
Le sue parole aprono piccoli squarci di luce nel buio delle nostre ansie.
"Non temete!" dice il Vangelo.
Ed è in fondo quello che questo suo libro prova a farci sentire.



       MATTEO 6, 25-34

"Non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? 

Guardate gli uccelli del cielo: non séminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? 

E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? 

E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. 
Ora, se Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? 

Non preoccupatevi dunque dicendo: «Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?». Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. 

Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena".

Mi seducono le immagini che Gesù come sempre usa. 
Uccelli, granai, vestiti, gigli e erba del campo. 
E penso ai nostri documenti senza immagini, pesanti, senza poesia, 
e prendo paura per le mie parole
.
E mi seducono i verbi del racconto di Matteo contro l'affanno. 
All'imperativo, un richiamo forte. Tre imperativi al negativo e uno al positivo. 
Al negativo il verbo che dice affanno, ansia: 
«Non affannatevi  per la vostra vita, di quello che mangerete e berrete», 
«non af-fannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?», 
«non affannatevi dunque per il domani».

Imperativo al positivo "cercate": 
 «Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia». 
Ma ci sono altri due imperativi al positivo 
che solitamente vengono trascurati e che io vorrei ri-cordare: 
"guardate", "osservate": «guardate gli uccelli del cielo», «osservate i gigli del campo».

Una cosa ancora mi colpisce. 
Nei versetti precedenti Matteo ha messo in guardia dall'accumulo: 
«non accumulate tesori», ha messo in guardia da una ricchezza 
che diventa mammona, assolutezza, porto di affidamento. 
Dire "amen" alla ricchezza e non a Dio. 

Ma qui Gesù distoglie dall'affanno non per l'accumulo dei beni, 
ma per ciò che sembra invece necessario, il cibo e il vestito. 
E non aveva lui forse difeso i discepoli che in giorno di sabato 
avevano colto spighe? E non aveva forse Dio cucito vestiti 
per il terrestre e la sua donna nel giardino delle origini?

E allora mi si fa strada nella mente .
una distinzione tra "occuparsi" e "preoccuparsi"
O, se volete, tra occuparsi delle cose, anche le più necessarie, 
ed essere occupati, cioè subire una occupazione, un'invasione, un dominio
Non hai più la mente sgombra, non hai più l'anima libera. 
La tua testa è altrove. Sei occupato. 
Perdi le persone, le cose, gli eventi. Con la testa sei altrove.

Quali sono le motivazioni portate da Gesù contro l'affanno?
Una prima è che il preoccuparsi è segno di stoltezza: 
puoi forse aggiungere un'ora sola alla tua vita? 
Puoi aggiungere un palmo alla tua statura? 
La gestione della vita è forse nelle tue mani? 
Non dovremo forse riconciliarci con la nostra provvisorietà? 
L'ansia non viene forse anche da questa preoccupazione 
che tutto sia sotto controllo? Tutto secondo la pro-grammazione? 
Accetta la precarietà. La provvisorietà che ci segna

Sorridi, impariamo a sorridere di noi stessi, 
soprattutto di noi stessi quando ci diamo l'immagine di uno che ha in mano il mondo.
Don Gino Riboldi tempo fa mi raccontava di aver visto in Sardegna 
una maglietta con una scritta che tanto lo aveva divertito. 
L'avrebbe voluta riproporre anche a Milano. Sulla ma-glietta era scritto: 
«Dio esiste. Non sei tu. Rilassati».

Il rischio poi insito nell'eccesso di preoccupazione è 
quello di trascurare ciò che vale di più. 
La vita, il respiro vitale non vale più del cibo e il corpo più del vestito? 
Respiro vitale e corpo, cioè il nostro stesso essere. 
L'ansietà, l'affanno non ci portano forse a trascurare noi stessi e gli altri?

Il cibo. Ho pensato a Marta e Maria. 
Marta che si occupa del cibo, Maria che ascolta. 
Accoccolata ai piedi di Gesù. E Marta, irritata: «Dille che mi aiuti». 
E Gesù: «Marta, Marta, tu ti affanni - lo stesso verbo di Matteo - 
e ti agiti per molte cose; ora c'è bisogno di una cosa sola. 
Maria infatti ha scelto la parte buona che non le sarà tolta» (Lc 10, 41-42). 

Marta non è certo rimproverata perché pensa al cibo, perché si occupa, 
ma perché è occupata, perché mestieri e cibo chiudono l'orizzonte. 
Lei - vuol far capire Gesù - è molto di più. 
Non si può ridurre una donna ai mestieri di casa, 
non deve succedere che le cose di casa le tolgano il respiro, il respiro vitale. 
È fatta, ancor più e prima, di altro: 
Gesù la vuol difendere nella sua vera identità e dignità. 
L'affanno - vuol farle capire - le toglie il respiro vitale.

La seconda motivazione che spinge a non affannarsi 
è forse ancor più profonda. Dio è Padre
Lui si occupa delle realtà anche minime. 
Degli uccelli dell'aria, dell'erba del campo. 
Valgono poco gli uccelli dell'aria, costano un minimo; 
vale poco l'erba del campo, la si brucia. 
Ebbene, Dio se ne occupa. C'è dentro una cura di Dio. 
Vuoi che non si occuperà di noi?

Ed ecco il verbo al positivo: «Cercate prima il regno di Dio 
e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». 
Che non è un "prima" di tempo: fai una cosa prima e poi ne fai un'altra. 
È un prima di "primato". Il primato va a Dio e al suo regno. 
Un primato a Dio, a un Dio, vorrei subito aggiungere, 
che non è un Dio generico, astratto, l'essere perfettissimo, 
ma a un Dio che è "padre". 

Cercate il suo regno, cercate il suo sogno sulla terra, 
cercate la sua giustizia, che non sta nella giustizia stretta degli scribi e farisei, 
ma nella dismisura dell'amore. 
Non sta nella reciprocità, ma nell'eccesso, nella gratuità. 
Cercate, lasciate entrare dentro di voi, il suo sogno.

«Tutte queste cose vi saranno date in aggiunta». 
E non certo nel senso che avrai vantaggi economici. 
Ma nel senso che dentro l'orizzonte del regno le cose avranno un'anima. 
Restituirai un senso, un'anima alle cose, 
che non saranno più appiattite nel consumo, ma avranno la luce del dono.
Non saranno più ristrette, impoverite nell'angustia della meschinità, 
della mancanza di respiro, ma avranno il respiro del "per tutti".
Così salvi la vita, non solo quella futura, questa vita.

«Non affannatevi dunque per il domani, 
perché il domani avrà già le sue inquietudini». 
Sembra, ci illudiamo, di fare un servizio alla vita affannandoci per essa. 
Sembra di diminuire attenzione alla vita invitando a non preoccuparsi. 
È il contrario. L'affanno non ti lascia guardare la vita. 
Capitano cose e tu non ci sei. 
Un cuore libero, non pieno, ti fa essere aperto al regno 
che passa nelle cose: «Il regno di Dio è in mezzo a voi», 
«il regno di Dio è dentro di voi».

L'invito a non affannarci non è dunque invito a essere senza pensiero 
o senza sguardo per le cose. Se mai ad avere un pensiero 
e uno sguardo più profondo: "guardate", "osservate". 
Non "chiudete gli occhi". Apriteli e troverete senso e dimensioni....

ANGELO CASATI



lunedì 19 novembre 2012

Credevo che a nessuno importasse di me

Nell'ottobre del 1991, il Reader's Digest ha pubblicato
la storia di una straordinaria insegnante di matematica
di una scuola media.




Un venerdì pomeriggio, l'insegnante chiese ai suoi allievi
di elencare il nome di tutti i compagni di classe,
lasciando uno spazio tra un nome e l'altro.

L'insegnante chiese poi agli allievi di pensare alle qualità migliori
di ogni compagno di classe e di scriverle
nello spazio che avevano lasciato.

Al termine dell'ora, raccolse i fogli e durante il fine settimana
scrisse il nome di ogni studente su un foglio
e sotto ogni nome tutto quello che i compagni
avevano scritto di lui.

Il lunedì diede ad ogni allievo l'elenco che lo riguardava.

Quando gli allievi cominciarono a leggere il loro foglio,
iniziarono a bisbigliare tra loro: "Credevo che a nessuno
importasse di me", o: "Non sapevo di essere tanto apprezzato".

Non si parlò mai di quei fogli in classe, ma l'insegnante
sapeva che quell'esercizio era stato proficuo,
perché aveva dato agli allievi la possibilità di sentirsi bene
per ciò che erano.




Molti anni dopo, uno di quegli studenti, Mark Eklund,
fu ucciso in Vietnam.
Quando il corpo fu riportato in Minnesota,
molti suoi compagni di classe e l'insegnante di matematica
parteciparono al funerale.

Dopo la funzione, il padre del giovane disse all'insegnante:
"Voglio mostrarle una cosa", e prese dal portafoglio due fogli logori,
che erano stati piegati più volte.

"Lo aveva Mark, quando l'hanno ucciso.
Pensiamo che lei lo riconosca".

Era l'elenco delle frasi positive che i compagni di classe di Mark
avevano scritto su di lui.
"Grazie per aver avuto quell'idea. Come può vedere,
per nostro figlio era un tesoro", disse la madre di Mark all'insegnante.

Uno a uno, gli antichi compagni di classe di Mark
cominciarono a confidare che tutti conservavano ancora quel foglio
e lo rileggevano spesso.
Alcuni lo tenevano nel portafoglio, uno l'aveva addirittura
inserito nel suo album di nozze.

Nel comunicare amore (o odio...), le parole sono potenti.
Le parole di affetto e di tenerezza, le parole di lode e di incoraggiamento,
le parole che offrono una guida positiva dicono: "Mi stai a cuore".
Queste parole alimentano il senso di autostima e di sicurezza interiore
dell'altro (e particolarmente del bambino).

Anche se queste parole vengono pronunciate raramente,
non le si dimentica in fretta.

GARY CHAPMAN e ROSS CAMPBELL
I cinque linguaggi dell'amore ai bambini, Elledici 2005


L'alfabeto di Dio


L'ALFABETO DI DIO:

A – Anche se non sei corrisposto, ama lo stesso, mi somiglierai.

B – Benedici sempre, perché tu sei una benedizione di Dio.



C – Chiamami Padre, solo così potrai chiamare tutti gli altri fratelli.

D – Dona con gioia. I musi lunghi sono figli delle tenebre.


E – Esci dal guscio del tuo egoismo: troverai un mondo che ti aspetta.


F – Fa' della tua vita una sinfonia di gioia; darai frutti saporiti.


G – Gira l'ago della tua calamita sempre dove ti porta il cuore: sempre e solo a Dio.


H – Hai un dono straordinario, per cui mi assomigli: l'amore; sfruttalo con gioia.


I – Intorno a te c'è tanta morte, odio e tenebre; ma tu sii sole che illumina e riscalda.


L – La terra non è la tua patria. Sei di terra, ma hai la mia vita: guarda allora in alto.


M – Metti la tua vita nel cuore di mio Figlio e di Maria: sarai dono d'amore.


N – Non permettere che il maligno deturpi la tua libertà. Aggrappati a me e sarai libero.


O – Odia il peccato, ma ama il peccatore: impara a perdonare e ama chi sbaglia, lo conquisterai.


P – Porta la pace di Dio col tuo sorriso: c'è bisogno di un raggio di sole e luce negli occhi.


Q – Quadro stupendo ti ho dipinto col sangue dell'Agnello; sei il mio capolavoro.


R – Resta un po' con me, figlio, quando si fa sera: io ti guardo e tu mi guardi ed è pace.


S – Senza il tuo mattone, la costruzione è vuota. Sii strumento docile nelle mie mani.


T – Tutto ho messo nelle tue mani, sei il signore della natura: conservala senza macchia.


U – Unisci cuore e mente: con la mente progetti, ma è col cuore che salvi e realizzi.


V – Vuoi essere felice? Sgombra tutto ciò che ti impedisce di volare e sciogli le vele.


Z – Zaino di Eucaristia, preghiera e servizio sarà il tuo compagno di viaggio: farai miracoli
.

domenica 11 novembre 2012

IL SEGRETO DELLA FELICITA' 2

 
LA FELICITA' SECONDO LA BIBBIA (2)
 
Ti sei mai chiesto qual è il segreto della felicità?
Quand'è che un uomo può dirsi davvero felice?
E che cos'è poi questa benedetta felicità? Perché la cerchiamo tanto?...
 
Vediamo come risponde la Bibbia...
 
 
 
 
Salmi 
 
Beato chi in lui si rifugia. (2,12 e 34,9)
 
23
 
Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla;
2
su pascoli erbosi mi fa riposare
ad acque tranquille mi conduce...

6
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita
,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni. 


32

Beato l'uomo a cui è rimessa la colpa,
e perdonato il peccato.

2
Beato l'uomo a cui Dio non imputa alcun male
e nel cui spirito non è inganno.
3Tacevo e si logoravano le mie ossa,
mentre gemevo tutto il giorno.
4
Giorno e notte pesava su di me la tua mano,
come per arsura d'estate inaridiva il mio vigore.
5Ti ho manifestato il mio peccato,
non ho tenuto nascosto il mio errore.
Ho detto: «Confesserò al Signore le mie colpe»
e tu hai rimesso la malizia del mio peccato. 



 
 40, 5
    
Beato l'uomo che spera nel Signore
e non si mette dalla parte dei superbi,
né si volge a chi segue la menzogna. 
 
 
41,2s

Beato l'uomo che ha cura del debole,
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
Veglierà su di lui il Signore,
lo farà vivere beato sulla terra,
non lo abbandonerà alle brame dei nemici.
 
 
65,5
 
Beato chi hai scelto e chiamato vicino.
 
 
 
 
84

5Beato chi abita la tua casa:
sempre canta le tue lodi!

6Beato chi trova in te la sua forza
e decide nel suo cuore il santo viaggio
...
 
12Poiché sole e scudo è il Signore Dio;
il Signore concede grazia e gloria,
non rifiuta il bene
a chi cammina con rettitudine.
13
Signore degli eserciti,
beato l'uomo che in te confida.
 
 
89,16
 
Beato il popolo che ti sa acclamare
e cammina, o Signore, alla luce del tuo volto 


94,12
 
Beato l'uomo che tu istruisci, Signore,
e che ammaestri nella tua legge
 
 
106,3
Beati coloro che agiscono con giustizia
e praticano il diritto in ogni tempo. 
 
 
112
 
Beato l'uomo che teme il Signore
e trova grande gioia nei suoi comandamenti.

2Potente sulla terra sarà la sua stirpe,
la discendenza dei giusti sarà benedetta.
3Onore e ricchezza nella sua casa,
la sua giustizia rimane per sempre.
4Spunta nelle tenebre come luce per i giusti,
buono, misericordioso e giusto.
5Felice l'uomo pietoso che dà in prestito,
amministra i suoi beni con giustizia.

6Egli non vacillerà in eterno:
Il giusto sarà sempre ricordato.
7Non temerà annunzio di sventura,
saldo è il suo cuore, confida nel Signore.
8Sicuro è il suo cuore, non teme,
finché trionferà dei suoi nemici.
9Egli dona largamente ai poveri,
la sua giustizia rimane per sempre,
la sua potenza s'innalza nella gloria.
 
 
119
 
Beato l'uomo di integra condotta,
che cammina nella legge del Signore.
2Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.  


127

4Come frecce in mano a un eroe
sono i figli della giovinezza.
5Beato l'uomo che ne ha piena la faretra:
non resterà confuso quando verrà a trattare
alla porta con i propri nemici. 
 
 
128
 
Beato l'uomo che teme il Signore
e cammina nelle sue vie.
2Vivrai del lavoro delle tue mani,
sarai felice e godrai d'ogni bene.
3La tua sposa come vite feconda
nell'intimità della tua casa;
i tuoi figli come virgulti d'ulivo
intorno alla tua mensa.
4Così sarà benedetto l'uomo
che teme il Signore. 
 
 
146
 
3Non confidate nei potenti,
in un uomo che non può salvare.
4Esala lo spirito e ritorna alla terra;
in quel giorno svaniscono tutti i suoi disegni.
5Beato chi ha per aiuto il Dio di Giacobbe,
chi spera nel Signore suo Dio,

6creatore del cielo e della terra,
del mare e di quanto contiene. 

Ballare sotto la pioggia


 
La vita
non è aspettare
che passi la tempesta,
ma imparare a ballare
sotto la pioggia.

Gandhi


 dal web, Il rifugio di Kim

martedì 6 novembre 2012

La straordinaria possibilità di amare


E' troppo bello questo post sul blog di Costanza Miriano: bisogna leggerlo!
Perciò ve lo riporto anche qui.



di fr. Filippo Maria

Ci sono giorni in cui uno crede di aver capito tutto.
Ce ne sono altri in cui sembra di non aver capito niente.
Altre volte, invece, può capitare di scoprire un’evidenza talmente macroscopica
che non ci si può spiegare come mai non l’abbiamo considerata prima,
come quando si cercano gli occhiali e ci si accorge, solo dopo un po’, di portarli già.

O come quando si scopre l’acqua calda, per dire.
Ecco, in questi giorni mi sento proprio così.
Mi sembra di aver scoperto infatti che il nocciolo del Vangelo 
stia tutto nel dono che ci viene fatto di una straordinaria possibilità di amare




Ci sono arrivato tardi, lo ammetto, però forse (e sottolineo forse) ci sono arrivato.
Intendiamoci: una vaga idea che il messaggio centrale del Vangelo fosse l’amore me l’ero già fatta.
E tuttavia, pur avendo sempre questa evidenza davanti agli occhi,
mi ero incastrato nel seguente ragionamento: 
non riuscirò ad amare come mi chiede il Vangelo (né Dio né il prossimo) 
fino a quando non si creeranno le situazioni opportune,
fino a quando non incontrerò le persone giuste,
fino a quando continueranno a sussistere determinate problematiche,
fino a quando le contingenze non cambieranno,
fino a quando non mi sentirò realizzato,
fino a quando non verrò considerato, fino a quando… tutto quello che volete voi.

Sarà perché comincio ad avere qualche capello bianco,
sarà perché la vita ti modella, ti scalpella e, un colpo da una parte uno dall’altra,
ti costringe prima o poi a prendere delle decisioni e a fare delle piccole scelte importanti
o sarà perché forse quella notte avevo dormito male,
fatto sta che un bel mattino, all’improvviso, mi è sembrato chiarissimo 
che tutte quelle circostanze concrete che sembravano togliermi qualcosa 
e che mi apparivano come impedimenti all’amore 
non erano situazioni da fuggire ma erano in realtà 
la mia concreta e straordinaria possibilità di amare! 
Non sarebbe stato altrove, non sarebbe stato in un altro tempo,
ma sarebbe stato QUI ed ORA!




Sì perché proprio quelle situazioni mi interpellano
e mi chiedono quanto il Vangelo sia penetrato nei tessuti della mia vita.
Le difficoltà quotidiane, a volte grandi altre piccole, un torto ricevuto,
un mio diritto leso, un riconoscimento che non mi viene fatto, le delusioni relazionali,
le volte in cui non mi sento capito, sono tutte situazioni
che mi offrono su un piatto d’argento la possibilità di amare come Gesù! 

Perché alla fine riuscire ad amare in un contesto favorevole
è la cosa più facile del mondo, non occorre certo essere cristiani per farlo
(“Se amate soltanto quelli che vi amano, che merito ne avete?…).

Considerando l’amore cruciforme di Dio ho pensato più volte
che il vero interesse degli avversari di Gesù non è stato tanto quello di farlo fuori,
di eliminarlo, ma di condannarlo ad una morte infamante,
di gettare discredito su di Lui, non di farlo morire e basta ma di farlo morire da colpevole.
Potevano organizzare un attentato, un’imboscata o un assalto notturno
e lo avrebbero subito tolto di mezzo. Ma sarebbe morto da eroe, da martire,
da perseguitato, l’ennesima vittima dei poteri forti.

Invece è stato organizzato un processo in cui è risultato colpevole,
è stato umiliato, deriso, oltraggiato, abbandonato,
ed infine massacrato nel peggiore dei modi.
E Lui, il Buon Pastore, “era di fronte a loro come pecora muta davanti ai tosatori”.
Nessuna difesa, nessun avvocato, ma Lui solo, con l’Unico suo interlocutore,
l’Unico a cui dover rendere conto, l’Unico a cui rivolgersi
e presso il quale rifugiarsi, il Padre (“Padre, se è possibile passi da me questo calice”…
 “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato”…
“Perdonali perché non sanno quello che fanno”…
“Nelle tue mani consegno il mio spirito”).




La croce non è un posto romantico, ideale per parlare d’amore, 
non è un luogo privilegiato per incontri amorosi… eppure da quella volta 
è diventato talamo, letto nuziale, luogo dell’amore per eccellenza. 

Perché, parliamoci chiaro, l’alternativa alla scelta di vivere la croce 
come possibilità dell’amore non può essere altro che la guerra, 
con tutto ciò che ne consegue.
Quante volte mi sono ritrovato a stilare liste infinite di diritti
(miei nei confronti degli altri) e quelle di doveri (degli altri nei confronti miei)…
ma quante energie sprecate, quante tensioni inutili,
solo per il capriccio di voler dire l’ultima parola, di voler farsi valere.
Quante persone e quante famiglie che ho conosciuto vivono racchiuse
dentro un odio calcificato nel tempo senza continuità di soluzione,
ognuno abbarbicato sulle proprie rivendicazioni,
incapaci ormai di sapersi guardare negli occhi, di scambiarsi un saluto,
di sorridere, proponendo al mondo lo spettacolo peggiore che un essere umano possa offrire.

Io non voglio vivere così! Preferisco la logica della croce.
Del resto, per amare non basta forse la certezza di sapersi amati?
Quando guardo quel Re crocifisso, io questa certezza ce l’ho!

Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene (Rm 12,21).

tratto da costanzamiriano.com